lunedì 23 giugno 2008

Fruttero & Lucentini

Opere

L'idraulico non verrà (1971)
La donna della domenica (1972) Letto!
A che punto è la notte (1979) Letto!
Ti trovo un po' pallida (1981)
La cosa in sé (1982)
Il palio delle contrade morte (1983)
La prevalenza del cretino (1985)
L'amante senza fissa dimora (1986)
Il colore del destino (1987)
La manutenzione del sorriso (1988)
La verità sul caso D. (1989)
Enigma in luogo di mare (1991)
Il quarto libro della fantascienza (1992)
Il ritorno del cretino (1992)
Breve storia delle vacanze (1994)
La morte di Cicerone (1995)
Il significato dell'esistenza (1997)
Il nuovo libro dei nomi di battesimo (1998)
Nottambuli (2002)
Viaggio di nozze al Louvre (2002)
Il cretino in sintesi (2002)
I ferri del mestiere (2002)

domenica 22 giugno 2008

Merenda al campo d'aviazione




Fatti i muffin, preparato il cestino e via, io e i miei due fiorellini siamo andate a fare la merenda al campo d'aviazione! Siamo state assediate dai cagnoni del club cinofilo un paio di tavoli più in là fino a che un bel dobermann nn è riuscito a rubarci un intero muffin dalla tavola con sommo disappunto della sua padrona!! Un bellissimo pomeriggio!!

La mia amica aligoniana



... sperando che da (con) noi si sia trovata bene!!

Bianca Maria ed Elena Maria sulla panchina



Piera e Fabietto







Per Piera e Fabietto: le belvettine hanno perso il vostro bv... scrivetemi qui! pennipenny@libero.it

San Giovanni



Al solstizio d'estate, quando il sole raggiunge la sua massima inclinazione positiva rispetto all'equatore celeste, per poi riprendere il cammino inverso, comincia l'estate
Tale giorno era considerato sacro nelle tradizioni precristiane ed ancora oggi viene celebrato dalla religiosità popolare con una festa che cade qualche giorno dopo il solstizio, il 24 giugno, quando nel calendario liturgico della Chiesa latina si ricorda la natività di San Giovanni Battista.
E nella festa di San Giovanni convergono i riti indoeuropei e celtici esaltanti i poteri della luce e del fuoco, delle acque e della terra feconda di erbe, di messi e di fiori.
Tali riti antichi permangono, differenziandosi in varie forme, nell'arco di duemila anni, benché la Chiesa ostinatamente abbia tentato di sradicarli, o perlomeno di renderli meno incompatibili con la solennità e si esauriscono soltanto con la sistematica repressione dei governanti laici dell'Italia unita: nelle zone rurali si mantengono tuttavia i riti più semplici e naturali, propri della società contadina e pastorale.
Tutte le leggende si basano su di un evento che accade nel cielo : il 24 giugno il sole, che ha appena superato il punto del solstizio, comincia a decrescere, sia pure impercettibilmente, sull'orizzonte : insomma, noi crediamo che cominci l'estate, ma in realtà, da quel momento in poi, il sole comincia a calare, per dissolversi, al fine della sua corsa verso il basso, nelle brume invernali. Sarà all'altro solstizio, quello invernale, che in realtà l'inverno, raggiunta la più lunga delle sue notti, comincerà a decrescere, per lasciar posto all'estate.
E' così che avviene, da millenni, la corsa delle stagioni.
Nella notte della vigilia di San Giovanni, la notte più breve dell'anno, in tutte le campagne del Nord Europa l'attesa del sorgere del sole era (è ?) propiziata dai falò accesi sulle colline e sui monti, poiché da sempre, con il fuoco, si mettono in fuga le tenebre con le tenebre e con esse gli spiriti maligni, le streghe e i demoni vaganti nel cielo. Attorno ai fuochi si danzava e si cantava, e nella notte magica avvenivano prodigi : le acque trovavano voci e parole cristalline, le fiamme disegnavano nell'aria scura promesse d'amore e di fortuna, il Male si dissolveva sconfitto dalla stessa forza di cui subiva alla fine la condanna la feroce Erodiade, la regina maledetta che ebbe in dono il capo mozzo del Battista. Nella veglia, tra la notte e l'alba, i fiori bagnati di rugiada brillavano come segnali ; allo spuntar del sole si sceglievano e raccoglievano in mazzi per essere benedetti in chiesa dal sacerdote. Bagnarsi nella rugiada o lavarsene almeno gli occhi al ritorno della luce era per i fedeli cristiani un gesto di purificazione prima di partecipare ai riti in chiesa.
La rugiada ricordava il battesimo impartito dal Battista nel Giordano, le erbe dei prati e dei boschi riproponevano l'austera penitenza di Giovanni nel deserto prima della sua missione di precursore del Messia. Anche in Valsesia ritroviamo l'usanza dei falò, del lavacro con la rugiada e della benedizione in chiesa del mazzo di erbe e di fiori. Conservate gelosamente in casa, portate all'alpeggio in estate - verso il quale da molti paesi si partiva la stesso giorno del 24 di giugno - le erbe benedette riconsacravano la baita di montagna lasciata l'anno prima mantenendo tra le famiglie dei pastori un legame con la sacralità della festa e del rito d'inizio d'estate. Al ritorno dall'alpe, quelle stesse erbe essiccate, unite ad un ramo di olivo e ad uno di ginepro, venivano bruciate nella stalla a protezione degli animali. Non a caso, dunque, il precursore di Cristo, rappresentato con l'Agnello mistico e vestito da eremita, pastore del deserto, fu assunto dai pastori come patrono privilegiato fino dai primi secoli cristiani.
IL rito della benedizione dei "fiori di San Giovanni", erbe benefiche e medicine medievali per curare il corpo ed evitare il malocchio, per proteggere la casa e gli animali domestici era assai diffuso in Valsesia, fino a pochi decenni fa. Ma ancora adesso, a Rossa, piccolo paese della Val Sermenza, valle minore della Valsesia, il parroco di Boccioleto, Don Luigi, mi ha raccontato che i fedeli richiedono la preghiera "magica", quella che proteggerà dai mali i raccolti. E la richiederebbero anche ad Oro di Mezzo, frazione di Boccioleto, se non fosse che non ci sono più anime a popolare la piccola frazione. Tutti se ne sono andati, ormai. Rimangono le montagne, immobili, maestose, gravide di leggende di cui nessuno ricorda più la trama, e tanto meno il significato.
E rimane, l'antica, suggestiva preghiera che un anno dopo l'altro, un secolo dopo l'altro, ha convinto di aiuto e pietà generazioni di donne e ancora adesso, in questo mondo impazzito, in un piccolo paese nascosto tra le montagne, raccoglie le donne lì giunte in processione a chiedere aiuto e pietà ad un Dio di cui si prega l'ascolto :
"Dio onnipotente ed eterno, che hai santificato nell'utero di tua madre il beato Giovanni Battista, e nel deserto hai voluto nutrirlo di erbe, di radici e di locuste silvestri, degnati di benedire questi rami, i fiori e le nuove biade, i frutti e le erbe che i popoli ......raccolgono, affinché .....siano una medicina per tutte le anime e per i corpi.
Dio, che in principio hai creato tutte le cose con la Tua onnipotenza e ad esse hai assegnato una forza, degnati di benedire questo insieme di erbe e di fiori, affinché tutti quelli che li portano con sé o li conservano nelle loro case, siano liberati da ogni inganno diabolico.
Dio onnipotente ed eterno, che ti sei degnato di nutrire nelle grotte del deserto il beato Giovanni Battista di locuste e di miele selvatico, degnati pure, Signore, di benedire e di santificare questi fiori oggi preparati in onore al Tuo nome, affinché a tutti quelli che li portano in mano o li conservano nelle loro abitazioni, siano di protezione per i corpi e per le loro anime e di medicina per tutte le malattie.
Dio onnipotente ed eterno, creatore di tutte le cose per l'utilità del genere umano degnati di benedire e di santificare queste creature di erbe e di fiori, affinché tutti quelli che da esse ne abbiano presi alcuni e li abbiano portati con sé ricevano la guarigione tanto del corpo come dell'anima, e affinché per propria forza, e in onore di Tuo Figlio e Nostro Signore e in onore del beato Giovanni Battista siano nuovamente beati e santificati e abbiano potere contro le tenebre, le nubi e le malignità delle tempeste e contro le incursioni dei demoni ....."
Ed ancora le donne si recano in processione, recando con loro i fiori da benedire.
I fiori di San Giovanni, dunque : l'artemisia, l'arnica ; le bacche rosso fuoco del ribes ; la verbena, della quale è credenza diffusa che, colta a mezzanotte della vigilia di San Giovanni, costituisca un'infallibile protezione contro i fulmini, ed è conosciuta in Bretagna come "erba della croce", perché si ritiene che protegga chi la porta con sé da qualsiasi male ed anche come "erba della doppia vista" perché il berne un infuso facilita la visione di realtà altrimenti nascoste.
E l'erica, la pianticella sottile.
L'erica è un fiore delle nevi e dei terreni poveri ed ostili. Infatti, il suo nome deriva dal verbo greco "ereiko", spezzo, rompo, proprio perché l'erica è più forte della dura crosta di terra invernale o della neve che la ricopre, tant'è che la buca senza fatica, emergendo all'aria aperta.
I fiori dell'erica, che vanno dal bianco alle varie tonalità di rosa, assomigliano, rovesciati, ai copricapi degli elfi.
Della stessa famiglia dell'erica è un'altra pianticella, detta brugo (cognome assai diffuso nei paesi ai piedi delle nostre montagne, e davvero molto a Romagnano Sesia), da brucus, termine tardolatino di origine celtica, da cui deriva il termine brughiera, poiché in questa terra povera e arida la pianticella riesce a vivere meglio di altre, coprendo immense distese.
L'erica, dal nome più romantico, era tenuta in grande considerazione fin dall'antichità, tanto da essere utilizzata per costruire le scope che sarebbero servite a pulire i templi degli Dei, e successivamente, in tempi più severi, il forno dove cuocere il pane.
L'utilizzo dell'erica per costruire scope era così diffuso che, in alcune regioni, l'erica stessa viene chiamata scopa e ancora oggi, alcune località soprattutto della Toscana, dove l'erica ricopre a distesa campi e colline, vengono chiamate Scopeto, Poggio delle Scope, Pian di Sco'. Stessa origine dovrebbero avere i paesi di Scopa e Scopello, della nostra Valsesia.
Le leggende associano spesso l'erica alle Entità Fatate, facendole dimorare fra i suoi rami e sconsigliando di
sdraiarsi a dormire fra queste piantine, per non correre il rischio di essere rapiti dal mondo delle fate. Di contro, era possibile accedere ai segreti dell'Aldilà, semplicemente dormendo su un letto di erica, che è anche spesso giaciglio degli amanti in numerose leggende.
E l'erica è posta a guardia del solstizio d'estate, periodo nel quale raggiunge la fioritura più completa. Usanza derivante probabilmente dal mondo celtico, dove l'erica è collegata sia all'Aldilà sia all'amore : le api, simbolo di saggezza segreta che proviene dall'Altromondo, sono particolarmente ghiotte dei fiori di questa piantina e producono così un miele squisito, da sempre legato a riti e significati di immortalità e di rinascita.
E ancora, tipico della notte di San Giovanni, il raro, misterioso fiore della felce che cresce nella notte magica, e si dice fiorisca a mezzanotte.
La storia relativa ai fiori magici è interessante, ed è frutto di credenze molto diffuse. In Boemia, ad esempio, si crede che il fiore della felce risplenda come l'oro, o come il fuoco, nella notte di San Giovanni : chiunque lo possieda in questa magica notte, e salga una montagna tenendolo in mano, scoprirà una vena d'oro, e vedrà brillare di fiamma azzurra i tesori della terra.
In Russia, i contadini raccontano che chi riesce ad impadronirsi del meraviglioso fiore nella vigilia di San Giovanni, se lo getta in aria, lo vedrà ricadere per terra nel punto preciso dove è nascosto un tesoro. Pare che questo fiore fiorisca improvvisamente, talvolta, a mezzanotte precisa della magica notte del solstizio d'estate ; e, sempre in Russia si racconta che chi abbia la fortuna di cogliere l'istante di quella fioritura improvvisa, potrà nello stesso tempo assistere a tanti altri spettacoli meravigliosi : gli sarebbero apparsi tre soli, e una luce avrebbe illuminato a giorno la foresta, e avrebbe udito un coro di risa, ed una voce femminile chiamarlo. IL fortunato a cui accade tutto questo non deve spaventarsi : se riesce a conservare la calma, raggiungerà la conoscenza di tutto ciò che sta succedendo o succederà nel mondo. Anche se resta da vedere se quest'ultima sia una buona magia.
Ma anche il seme della felce, che si vuole risplenda come oro nella notte di San Giovanni, non diversamente che dal magico fiore, farebbe scoprire i tesori nascosti nella terra : i contadini del Tirolo credono che alla vigilia di San Giovanni si possano veder brillare come fiamme i tesori nascosti e che il seme della felce raccolto in questa mistica notte possa portare alla superficie l'oro celato nelle viscere della terra. Nel cantone svizzero di Friburgo, il popolo usava un tempo vegliare vicino ad una felce la notte di San Giovanni, nella speranza di guadagnare il tesoro che qualche volta il diavolo in persona portava loro.
Un altro fiore, questo facilmente rintracciabile e che appare d'oro anche ad occhio nudo, è legato nella memoria popolare al solstizio d'estate. La densità della sua fioritura è tale da risaltare sulle grandi distese, come una gran macchia di colore giallo oro misto a rame ; i fiori infatti, così numerosi e brillanti, durano poco, un giorno soltanto, e subito appassiscono e assumono un colore rosso ruggine. Si tratta dell'iperico, un fiore dei campi che è detto erba di San Giovanni, perché anticamente chi si trovava per strada la notte della vigilia, quando le streghe si recavano a frotte verso il luogo del convegno annuale, se ne proteggeva infilandoselo sotto la camicia insieme con altre erbe, dall'aglio, all'artemisia, alla ruta. IL suo stretto legame col Battista sarebbe testimoniato dai petali che, strofinati tra le dita, le macchiano di rosso perché contengono un succo detto per il suo colore "sangue di San Giovanni". E' davvero difficile risalire alla motivazione di questo accostamento - perché il Battista e non un altro martire ? - se non forse il fatto che l'iperico è un fiore che si accontenta di poco, per sopravvivere, e vive anche nei climi desertici, come fece un tempo Giovanni il Battista.
Nelle leggende si parla anche di un 'erba piccolissima e sconosciuta, detta Erba dello Smarrimento. Si dice che essa venisse seminata dalle Fate e dai Folletti nei luoghi da loro frequentati e, calpestata, avrebbe allontanato dalla retta via il malcapitato. A questa leggenda si intreccia quella, di origine tedesca ma alquanto diffusa nel biellese, che, se taluno passa vicino alla magica fioritura della felce, nella notte di San Giovanni, senza raccogliere il seme che la pianta lascia cadere, sarà condannato a smarrirsi per via, anche se percorre strade a lui note.
Altrettanto conosciuta era l'Erba Lucente, che consentiva, se portata sul corpo, di vedere la verità delle cose senza mascheramenti o inganni. Poiché quest'erba era invisibile agli uomini, ma non ai bovini domestici, la si poteva raccogliere solo seguendo un vitello al suo primo pascolo, oppure le mandrie, nella notte di San Giovanni. Si raccontava infatti che in quelle occasioni i bovini mangiassero solo quell'erba, dando così la possibilità a chi proprio lo desiderava di individuarla. Le vecchie storie non tramandano cosa accadesse agli incauti che ci riuscivano, cui da allora, conoscendo ogni verità, era negata la possibilità dell'illusione.
Anche in Valsesia, come abbiamo già detto, ritroviamo l'usanza dei falò, del lavacro con la rugiada e della benedizione in chiesa del mazzo di erbe e di fiori. Conservate gelosamente in casa, portate all'alpeggio in estate - verso il quale da molti paesi si partiva la stesso giorno del 24 di giugno - le erbe benedette riconsacravano la baita di montagna lasciata l'anno prima mantenendo tra le famiglie dei pastori un legame con la sacralità della festa e del rito d'inizio d'estate. Al ritorno dall'alpe, quelle stesse erbe essiccate, unite ad un ramo di olivo e ad uno di ginepro, venivano bruciate nella stalla a protezione degli animali. Non a caso, dunque, il precursore di Cristo, rappresentato con l'Agnello mistico e vestito da eremita, pastore del deserto, fu assunto dai pastori come patrono privilegiato fino dai primi secoli cristiani.

http://www.ginevra2000.it/fiori/Fiori_Leggende/Giugno.htm

Solstizio d'estate 21/24 giugno - S. Giovanni
le lumache, le noci, i falò e la raccolta delle erbe.

E' uno dei sabba minori chiamato anche Festa di S. Giovanni dalla tradizione cattolica. E' il periodo della raccolta delle piante e delle erbe da usare nelle operazioni magiche. Nella notte tra il 23 e il 24 giugno si usa bruciare le vecchie erbe nei falò e andare alla raccolta delle nuove oltre che mettere in atto diversi tipi di pratiche per conoscere il futuro perchè, come dice il detto, " San Giovanni non vuole inganni".

Sin dai tempi più remoti il cambio di direzione che il sole compie, tra il 21 e il 22 giugno, è visto come un momento particolare e magico.
Questo giorno, detto solstizio d'estate, è il primo giorno di una nuova stagione e in magia è associato alla festa di San Giovanni Battista, 24 giugno, giorno della sua nascita 6 mesi prima del Cristo ( da quanto affermato dalla chiesa ) perchè in questo breve ma intenso arco di tempo, tutte le piante e le erbe sulla terra vengono influenzate con particolare forza e potere.

Il noce è l'albero attorno al quale si riuniscono a convegno le streghe nella notte di San Giovanni. E' proprio in questa notte che si devono raccogliere dall'albero le noci, dette appunto di San Giovanni, per la preparazione del nocino, il liquore ottenuto dall' infusione delle noci ancora immature nell'alcol per qualche settimana, assieme a qualche aroma speziato come la cannella e i chiodi di garofano.
Il culto del noce come "albero delle streghe" è di origine druidica.
L'albero del noce era considerato sacro per le streghe ma non per i contadini che lo piantavano a distanza dagli altri alberi da frutto perchè era radicata la credenza che questo albero ermafrosita, che puo' raggiungere anche i 300 anni di età, fosse velenoso e che la sua influenza negativa contagiasse il terreno su cui poggiava.
Da qui l'usanza di piantarlo a distanza dagli altri alberi del'orto.

Le erbe di San Giovanni:

iperico (scacciadiavoli anti malocchio. I suoi petali rossi erano ritenuti pregni del sangue del santo), aglio pianta che protegge dalle creature malefiche. ( Il nome sanscrito dell'aglio significa infatti "uccisore di mostri"), artemisia (assenzio volgare consacrata a Diana-Artemide) la verbena ( simbolo di pace e prosperità) e la ruta detta anche "erba allegra", perché è un'efficace talismano contro il maligno).
Bagnate dalla rugiada e intrise di una potenza nuova, è il momento giusto per le nuove raccolte in vista di future applicazioni sino a quando, il prossimo anno, verranno di nuovo bruciate nei falò e rinnovate.
pratiche:

Si accendono i fuochi dei falò la vigilia del 24. Il fuoco è considerato purificatore come la rugiada. E' bene augurale saltare sul fuoco avendo ben chiare le cose che vorremmo veder cambiare nella nostra vita. Più intenso e puro sarà il desiderio espresso mentalmente al momento del salto e più esso avrà ottime possibilità di realizzarsi.
Sotto il guanciale vengono messe le "erbe di San Giovanni", legate in mazzetto in numero di nove compreso l'iperico, per avere dei sogni premonitori.
Il giorno di San Giovanni se si compera l'aglio si avrà un anno prospero.
A mezzanotte si deve cogliere un ramo di felce e tenerlo in casa per aumentare i propri guadagni.
Si mangiano le cosiddette " lumache di San Giovanni " con tutte le corna che assumono il significato di discordie e preoccupazioni. Mangiarle significa distruggerle le avversità.
Si raccolgono le noci ancora immature per preparare il "nocino" un liquore corposo da bere gradualmente in futuro per riacquistare le forze nei momenti del bisogno.
portare l'iperico all'occhiello nella notte della festa, protegge dalle streghe.
In età precristiana questo giorno era considerato sacro al pari di un capo d’anno e da cui l’usanza di trarre dei presagi. Il Sole, simbolo del fuoco divino, entra nella costellazione del Cancro, simbolo delle acque e dominato dalla Luna dando origine all'unione delle due opposte polarità che si incontrano.
Il Sole è la parte maschile e la Luna quella femminile e il sole, al solstizio d’estate, raggiunge la sua massima inclinazione positiva. Simbolicamente questo fenomeno è rappresentato dalla stella a sei punte dove il triangolo di Fuoco e il triangolo dell’Acqua si incrociano.

Nella tradizione occulta l’incontro del Sole nella casa della Luna conduce alle nozze tra i due astri.
Tali nozze divine segnano il passaggio tra il mondo dell’uomo con il mondo divino eterno dando origine alla suddivisione in due poli: maschio e femmina, luce e tenebra, positivo e negativo ecc....
I due solstizi sono anche chiamati "porte": porta degli dei il solstizio invernale e porta degli uomini quello estivo.

La Chiesa Cristiana da sempre ha ostacolato queste pratiche sovrapponendovi i propri riti con solenni celebrazioni; ma senza riuscirci.
Tali usanze sono così radicate nelle abitudini popolari che ancora oggi se ne perpetuano i festeggiamenti.

lunedì 16 giugno 2008

Erbario fotografico





Petrorhagia saxifraga L
Echium italicum L.

domenica 8 giugno 2008

L'astrologo distratto





astrologus quidam,qui noctu,ut sidera contemplaretur,egredi solebat,cum olim extra urbem ambularet o****sque et mentem omnem in astris defixam teneret,imprudens in puteum delapsus est.quo casu cum is vehementer quereretur et frustra,ut illinc evaderet,niteretur,quidam viatior,qui forte per ea loca trasgrediebatur,cum eius gemitus audivisset,ad puteum accessit et eum vidit.Postquam ei auxilium praebuit ut e puteo egrederetur,eum percontatus est quid solus ibi de multa nocte ageret.tum astrologum et in puteum lapsum esse respondit,et ille:"ego vero inquit-admiror te,dum caelestia tam diligenter contemplaris atque intueris,de terrenis et de iis quae ante pedes sunt curam habere".

Un astrologo, una volta, che di notte, per contemplare gli astri, era solito uscire, camminando fuori città e tenendo gli occhi e tutta la mente fissa agli astri, cadde imprudentemente in un pozzo. Per tale ragione gridando forte e tentando inutilmente per uscire da lì, un viandante, che per caso passava per quei luoghi, avendo sentito il suo gemito, si avvicinò al pozzo e lo vide. Dopo che gli offri il suo aiuto per tirarlo fuori dal pozzo, lo interrogò cosa da solo lì facesse per tutta la notte. Allora rispose che era un astrologo e che era caduto nel pozzo, e quello: io invero, disse, ti ammiro mentre così diligentemente contempli gli astri celesti e li guardi abbi però cura delle cose terrene e di quelle che sono davanti ai tuoi piedi.

Fairy butter recipe




1
Mix thoroughly three hard cooked eggs with two tablespoons of sugar, beat into this four tablespoons of fresh butter and flavor to taste with almond paste.

2
Take the yolks of two hard eggs, beat them in a marble mortar with a large spoonful of orange-flower water, and two spoonfuls of fine sugar beat to powder; beat all to a fine paste, add a like quantity of fresh butter just taken out of the churn, and force it through a fine strainer of little holes into a plate.

Acqua di fiori d'arancio
Ingredienti: Dosi: g 200 di fiori di arance amare (zagare), 1 litro di acqua.
Istruzioni per la preparazione: Mettere in un vaso, i fiori d'arancio con l'acqua. Chiudere ermeticamente e far riposare per 24 ore scuotendo spesso il vaso, quindi fìltrare l'acqua che sarà già pronta per l'uso.

Sciroppo Di Acqua Di Fiori D'arancio
Tipo di piatto: Bevande
Ricetta per 4 persone
Ingredienti:
900 G di Zucchero
500 G di Acqua Di Fiori D'arancio

Preparazione: Mettere a liquefare a freddo 900 g di zucchero in 500 g di acqua di fiori di arancio. Quando tutto sarÃ* ben sciolto appoggiare una carta da filtro in un imbuto e passare il liquido attraverso di essa versandolo poi nelle bottiglie stesse.

http://www.gardenherbs.org/
http://www.fairyoak.it/

Recipes from, A New and Easy Method of Cookery, by Elizabeth Cleland, 1759




To make Meagre Broth for Soups with Herbs.
SET on the Fire a Kettle of Water, put in it +some
Cru+sts of Bread, and all Sorts of Herbs, green Beets,
Sellery, Endive, Lettice, Sorrel, green Onions, Par+sley,
Chervil, with a good Piece of Butter, and a Bunch of
+sweet Herbs ; boil it for an Hour and a Half, then +strain
it off; this will +serve to make Artichoke or A+sparagus,
or Soup de +santé with Herbs; +sea+son it with Salt, Pepper,
Cloves, Jamaica Pepper ; cut the Herbs gro+sly, and it
will be a very good Soup, boiling a good Lump of
Butter with the Herbs, putting toa+sted Bread in the
Di+sh ; but take out the Bulk of the +sweet Herbs.


To make Scots Barley Broth.
BOIL a Hough of Beef in eight Pints of Water,
and a Pound of Barley on a +slow Fire; let it boil to four
Pints ; then put in Onions, Pepper, Salt and Rai+sins
if you like them, or you may put in Greens and Leeks.


A Calf's Head Soup.
TAKE a Calf's Head, +stew it tender; then +strain
off the Liquor, and put in a Bunch of +sweet Herbs,
Onions, Salt, Pepper, Mace, and +some fine Barley,
boil it till the Barley and Head is done; then +serve
it with the Head in the Middle.


To make Mutton Broth.
TAKE about +six Pounds of Mutton, boil it in
three Scots Pints of Water, with +sweet Herbs, Onions,
two or three Turnips, a Quarter of a Pound of fine
Barley or Rice, Salt and Pepper; a little before you
take it up, put in it a Handful of chopped Par+sley.


To make another Barley Broth.
TAKE a Neck and Brea+st of Mutton, cut it to
Pieces, put as much Water as will cover it; when
it boils +skim it; put in Barley, diced Carots, Tur-
nips, Onions, a Faggot of Thyme and Par+sley,
Pepper and Salt, +stove all well together; you may
put in a Sheep's Head, but fir+st +singe and +scrape it,
and +soak it well in Water; to make this green, put
Beet Leaves, Brocoli, and green Onions, all +shred
+small.

An Eel Soup.
TAKE Eels according to the Quantity of Soup you
would have ; a Pound of Eels will make a Mutchkin of
Soup ; to every Pound of Eels add a Chopin of Water,
a Crust of Bread, two or three Blades of Mace, whole
Pepper, an Onion, and a Faggot of sweet Herbs; co-
ver them clo+ss [sic], and let them boil till Half the Liquor is
wa+sted ; then strain it, and put Toasts of Bread cut in
Dice in the Dish, then pour on your Soup ; you may
put Forc'd meat Balls made of Fish, or Bread, in it.

To make E+scarlot Beef.
TAKE a Bri+sket of Beef, half a Pound of coar+se
Sugar, two Ounces of Bay Salt, one Ounce of Salt-
petre, a Pound of common Salt: mix all together, and
rub the Beef, put it in an Earthen Pan, and turn it e-
very Day: Let it lie a Fortnight in the Pickle, then
boil it with Savoys, or a Pea+se Pudding. It eats very
well cold.

Ox Tongues à la mode.
BOIL and blanch and lard it, then brown it off,
and +stove it one Hour in good Gravy and Broth ; +sea-
+son it with Pepper, Salt, Cloves, and a Faggot of +sweet
Herbs ; put in Morels, Truffles, Mu+shrooms, Sweet-
breads, and Artichoke Bottoms ; +skim off the Fat, and
+serve them either hot or cold.


To +stew a Rump of Beef.
CUT off the large Bone, that it may lye flat in the
Stew-pan, +score the In+side, and +sea+son it with Pepper,
Salt, Cloves and Mace; +shred a little Thyme, Par+sley,
Winter Savoury, and +sweet Marjoram; put Sea+soning
between every Score if you like it; lard it with Ba-
con, and a Slice of Bacon laid in every Score: Put it
in your Stew-pot with a Pint of Water, a little Rockam-
bole or Shalots; let it +stew on a gentle Fire for two
Hours, then turn it, and make a Ragoo of Palates and
Eyes, Forc'd - meat Balls and Kernels, with +some of the
Liquor it is +stewed in ; thicken it with brown'd Butter
and Flour : Put in your Ragoo a half Mutchkin of
white Wine and the Juice of a Lemon, the Grate of a
Nutmeg, and Mu+shrooms if you have them. You may
make a Ragoo for it if you plea+se the +same Way, of
Carots, Turnips, Artichoke Bottoms, Truffles, Morels,
Mu+shrooms and Oi+sters : You may +stew any Piece of
Beef the +same Way. Boil your Roots before you put
them in your Ragoo.

he beginning of the Introduction, by Peter Brears
Published in Edinburgh in 1755, Elizabeth Cleland’s New & Easy Method of Cookery is one of our most important sources regarding the culinary history of mid eighteenth century Scotland. Her’s was not the first recipe book to be published here, that honour going to Mrs McLintock’s Receipts for Cooking and Pastry-work, Glasgow, 1736, but it is by far the most extensive. Within over two hundred pages, it includes almost seven hundred recipes covering every aspect of food preparation, from traditional broths to the most fashionable of desserts. This made it one of the most successful Scottish cookery books of its period, second extended editions being separately printed by C.Wright & Co, by W.Gordon and Wright in Edinburgh, and by a London printer in 1759, a third edition by R.Fleming and W.Gray appearing in 1770. As its title states, it was chiefly ‘intended for the benefit of the young ladies who attend [Elizabeth Cleland’s] school’ which she presumably held at her house in the Luckenbooths adjacent to St.Giles at the head of Edinburgh’s High Street.

In 1755, the social; and economic life of this capital city was slowly beginning to revive after a hundred and fifty years of decline. This period had seen the departure of its royal court in 1603 and its parliament in 1707, the massive financial losses of the disastrous Darien expedition to Panama, and the disruption of the 1715 and ’45 Jacobite campaigns. It remained a major centre of social life and culture however, with every modern amenity, including a university, schools, infirmary, library, playhouse, concert and assembly rooms. There too were professionals offering legal, medical, publishing and architectural services, craftsmen offering numerous high quality goods, and shops the widest range of both everyday and luxury goods. This mass of activity was still constrained within the high medieval walls and gates of the Old Town, since the glories of the New Town lay years into the future. To the informed visitor, Edinburgh’s most notable features were the multi-occupancy buildings, often from six to fourteen stories in height, and the volleys from chamber pots which rained down from them, leaving pedestrians no option but to wade through the piles of excrement. The houses of the nobility in the Canongate and Cowgate were considered paltry and mean by London standards, but they provided essential accommodation for the landed families wishing to enjoy the city’s numerous facilities. It would be these families that provided the bulk of Elizabeth Cleland’s pupils, since it would be considered essential that their daughters should have a sound culinary education. If they married well, their knowledge would enable them to order their households’ meals with style and taste, while if they had to earn their own living, it would qualify them to serve as efficient housekeepers in major houses. It is interesting to note that first editions of A New and Easy Method of Cookery have been found in the library at Wedderburn Castle, and also in Sir Walter Scott’s library at Abbotsford, a clear indication of the gentry status of Mrs Cleland’s clients. In 1755, Anne Rutherford, daughter of the Professor of Medicine at the University of Edinburgh, was still living in her parental home in College Wynd, Cowgate, only a short walk from the Luckenbooths where Mrs.Cleland was then operating her school of cookery. We may reasonably assume that she attended Mrs Cleland’s classes here, and bought her recipe book in preparation for her marriage in April 1758 to Walter Scott senior, Writer to the Signet, who lived a short way up Cowgate, in Horse Wynd. Over the following years, she kept his house, and bore him twelve children, the first six of whom died in infancy. Then followed Robert, John, Anne, and, in August 1771, Walter, who was to become one of the greatest Scottish writers and patriots, and the foremost author of his age. It is interesting to realise that the recipes printed here were probably the very ones which nourished Sir Walter Scott in his formative years.

In the eighteenth century, there were three very distinctive culinary traditions operating in Scotland. At the highest level came the cooking of the great noble families, who required the very finest of international cuisine. Their cooks were their best paid and most respected servants, autocrats of extensive kitchen departments, and men of great taste and education. Joseph Florence, French chef to three Dukes of Buccleuch was typical of this elite tradition, his painting by John Ainslie, now at Drumlanrig, being one of the most impressive and memorable of all servant portraits. Through his master, he became a friend of Sir Walter Scott, creating Potage ‡ la Meg Merrilies de Dercleugh for him after the publication of Guy Mannering. J.Rozea, cook to the Earl of Hopetoun at Hopetoun House, demonstrated superb levels of skill and his knowledge of the Classics in his Gift of Comus or, Practical Cookery published in Edinburgh in 1753. Only two of the proposed twelve parts were ever printed, but in their 160 pages they just got as far as preparing the stocks on which the subsequent dishes would depend. Only nobles with bottomless purses could afford such gastronomic excellence, and very few recipes from their cooks ever found their way into lesser kitchens.

Next came the cookery of the gentry and merchant classes, usually supervised by an experienced female cook or cook-housekeeper, or even the mistress of the house. This was the tradition which Mrs Cleland knew best, one which was extremely practical, wholesome and varied, including both everyday dishes and more luxurious ones for special occasions. It’s kitchens, utensils and recipes will be discussed later, based on the information provided in her text.

The remaining type of cookery was that used by the country’s working populations, its agricultural, fishing, weaving and industrial communities. Economically limited, they made the very best use of locally available ingredients, fuels and utensils. These restrictions gave rise to considerable ingenuity, however, thus producing a highly individual tradition of true Scottish cookery, one of the most interesting of all Europe’s national cuisines. Anyone wishing to read more on this theme should refer to F.Marian McNeill’s The Scots Kitchen of 1929, and the numerous works of Professor Alexander Fenton.

domenica 1 giugno 2008

Erbario fotografico






Ecballium_elaterium (L.) A. Richard
Glaucium_flavum Crantz
Raphanus_raphanistrum L.