giovedì 26 aprile 2007

Arcaico torso di Apollo

1a versione
Non conoscemmo il suo capo inaudito,
che le iridi vi maturavano. Ma il torso
tuttavia arde come un candelabro
dove il suo sguardo, solo indietro volto,

resta e splende. Altrimenti non potrebbe abbagliarti
la curva del suo petto e lungo il rivolgere
lieve dei lombi scorrere un sorriso
fino quel centro dove l'uomo genera.

E questa pietra sfigurata e tozza
vedresti sotto il diafano architrave delle spalle,
e non scintillerebbe come pelle di belva,

e non eromperebbe da ogni orlo come un astro:
perchè là non c'è punto che non veda
te, la tua vita. Tu devi mutarla


2a versione
Non conoscemmo noi quel favoloso
capo divino, in cui fioriano gli occhi.
Ma il torso suo sfolgora tutto, al pari
Di un candelabro, in cui dura e risplende,
anche smorzata, la superna luce.

Ché non così ti abbaglierebbe l’arco
Di quel petto rubesto; e non così
Per entro il giro delle reni andrebbe
Un vivido sorriso all’inguinaia
Infino al pube che recava il sesso.

Sfigurata sarebbe questa pietra
Nello strapiombo delle spalle, vacuo:
mutila e cieca. E non sfavillerebbe
come sfavilla, simile a ferino
manto versicolore, in ogni fibra
accendendo una stella. – Ecco: ti guarda
con occhi innumerevoli. E costringe
chi la contempli, a rinnovarsi tutto.

R. M. Rilke

Era immersa in una strana acqua verde calda e carezzevole. Pace, Il viso fresco. Vedeva i suoi capelli verdi aderire perfettamente alla testa e questo le dava una sensazione di benessere. Adesso nuotava in quel mondo verde e rilassante mentre strane forme ondulate si muovevano come grandi alghe trasportate nella corrente. E mentre nuotava felice un’immensa forma si alzò di decine di metri dal mare impossibile sconvolgendo quella pace prenatale. Un’ondata la sollevò, in bilico in cima al maroso la forma le disse con una voce dolce e tranquilla:” Sono confuso”. E subito prima di cadere nell’abisso scorse due occhi verdi nella forma e lei pensò che, ora li vedeva, c’era solo indifferenza.
Aprì gli occhi con un sussulto disturbando il gatto che le si era arricciolato comodamente sopra la testa. Il cuore che correva all’impazzata e ancora quell’orrenda sensazione di caduta nella pelle.
Piano piano tornò alla realtà. La luce calda della domenica mattina filtrava attraverso la finestra della camera da letto; mentre si alzava pensava agli orrendi incubi che la svegliavano quasi tutti i giorni, ma specialmente di sabato e domenica quando la tensione del lavoro si scioglieva e la lasciava sgomenta, sola e vuota.
Mamma mia, quel brutto sogno l’aveva intontita, così pensò di farsi una doccia ristoratrice, smettere di pensare agli amori perduti e godersi in pace la giornata di sole. Ma si, si sarebbe presa un giorno solo per sé.
Si lavò i capelli con cura si vestì sportiva, diede la pappa al gatto che non aveva fatto altro tutta la mattina se non strusciarlesi nelle gambe tentando di farla cadere e uscì, piena di voglia di vivere dopo tanti mesi di tristezza.
Per prima cosa si concesse una sontuosa colazione in pasticceria, vicino al centro. Ogni tanto la salutava qualcuno che comperava le “paste” per il pranzo domenicale. Per fortuna era riuscita ad evitare gli inviti di suo padre, aveva bisogno di prendersi del tempo solo per sé e di godersi i piccoli piaceri della vita. La pagina culturale del quotidiano che stava leggendo elogiava smodatamente il nuovo libro di un Nobel colombiano che aveva tanto amato ma che con la notorietà acquisita era diventato tremendamente noioso. Mah, forse era lei che era cresciuta e non si faceva più tanto impressionare dai colori del Caribe e dalla magia quotidiana delle premonizioni… più probabilmente, rifletté aveva perso la capacità di stupirsi, di entrare intimamente nella vita, se la lasciava scorrere via dalla pelle come l’acqua dopo un bagno e non restava neanche il sale. Ecco la certezza di non essere veramente viva, di essere solo uno spettatore annoiato di una commedia già vista.
Si ricordò all’improvviso che era il giorno del Mercato dell’Antiquariato e decise di andare a curiosare tra le bancarelle di oggetti appartenuti ad altre vite, ad epoche in cui probabilmente le donne avevano altri pensieri.
La colazione l’aveva lasciata appagata, il corpo rispondeva dopo tanti mesi di pasti irregolari e fugaci, di cene fuori con gli amici per non dover stare in casa, nella sua casa buia e solitaria che era arrivata a respingerla come se non le appartenesse più fuggendo da se stessa e da tutto quello che la storia con Alberto l’aveva fatta diventare .
Alberto, il suo amore perduto, quell’uomo che aveva amato più di se stessa e che l’aveva usata come un salvagente, un’ancora di salvezza nel caos della sua esistenza confusa, in mezzo ad un matrimonio finito da tanto tempo ma che ancora lo tratteneva perché era qualcosa di certo in mezzo alla precarietà della vita. L’aveva asciugata, aveva bevuto la sua energia e la sua esuberanza per tirare avanti e cercare nuovi scopi per vivere. L’aveva tenuta legata a se con oscure promesse di felicità ma adesso non me la sento, di ti voglio bene ma ho bisogno di spazio e intanto lei cedeva alle sue necessità annullando le proprie e vivendo solo dell’attimo in cui lo aveva dentro di sé; nell’appagamento di un momento si illudeva di averlo per sempre.
All’inizio la storia le era sembrata un sogno ad occhi aperti. Quella primavera realizzava per la prima volta di essere diventata una donna dopo una relazione senza più senso mangiata dalla routine. Scopriva se stessa, sensualità della vita e la voglia di immergersi in qualcosa di esaltante qualunque cosa fosse. Stava finalmente vivendo una stagione diversa quando era apparso Alberto affascinante e bellissimo con un’aria un po’ indifesa e due occhi grandi e verdissimi.
Si erano cercati, anzi lei lo aveva stretto in un assedio inesorabile in quel caldo Aprile per le strade di Fano nei posti dove era sicura di poterlo incontrare; aveva funzionato lui si lasciava trovare lei rilanciava in un gioco di sguardi e mezze parole fino a che si decisero ad uscire insieme come per un fatto ormai inevitabile.
Quella prima sera fatidica la portò a Novilara mentre parlava a raffica di sé e di mille cose inutili , tanto per allentare la tensione ... ripensandoci a posteriori, stava solo perdendo tempo prima di portarla a letto, con quelle chiacchiere che gli uomini usano fare per far piacere alle proprie compagne ma di cui farebbero felicemente a meno.
Lei si accorse solo dell’aria tiepida, dell’odore di lui che riusciva a far vibrare corde così nascoste che non pensava di possedere e di una strana malia la quale lucidava i colori , tergeva l’aria e di venerdi sera aveva fatto chiudere i locali di Novilara e sparire d’incanto (o non era addormentare?) tutti i suoi abitanti perchè quando arrivarono era completamente deserta.
“Come hai fatto a far dileguare tutti ?” Chiese divertita da quell’insolita magia. ” Ho telefonato per prenotare il paese.” Rispose lui ridendo.
E poi il gioco era finito, l’illusione svanita, lui se ne era andato con un’altra, veleggiando irresponsabile verso nuove storie e lasciandola senza neanche le forze per respirare e con una sensazione di fallimento in fondo allo stomaco. Il giorno che finalmente si era resa conto che era finita aveva lavorato mezza giornata sorridendo ai colleghi come se niente fosse, dopo la pausa pranzo si era data malata, era andata a casa del suo amico del cuore e aveva pianto dodici ore di fila senza riuscire a smettere tra le sue braccia inzuppandogli la camicia e addormentandosi sfinita al battito acquietante del suo grande cuore.
Aveva arrancato dei mesi interi continuando a vivere solo apparentemente, spinta avanti dalla routine di mille impegni da mettere uno via l’altro per non dover pensare e per ricacciare in fondo le lacrime della disperazione.
Aveva fatto come se nulla fosse accaduto illudendosi di avere ancora il controllo della sua vita.
Girando l’angolo della graziosa piazzetta vide le prime bancarelle, una sensazione di energia la pervase, aveva voglia di comperarsi qualcosa di speciale, di farsi un bel regalo insomma, se lo meritava, no?
Così cominciò a girare tra oggetti vissuti, pizzi e crinoline ingiallite dal tempo, vecchi 33 giri impolverati, porcellane inglesi per cui rimase venti minuti a contrattare sul prezzo con il vecchio signore che le vendeva solo per civettare un po’.
Spulciando vecchi libri in edizione economica si mise a leggere una pagina a caso di un romanzo francese, e mentre era assorta nella lettura una voce femminile chiamò imperiosa il suo nome. Si volse di scatto rendendosi conto solo vagamente che una madre chiamava indispettita la sua bambina perché lo vide: brillava di bianco abbacinante in mezzo alle cianfrusaglie la sua schiena, colpita da una lama di luce nella penombra degli alberi secolari, le diede un brivido, cominciarono a ronzarle per la sorpresa del riconoscimento.
La curva del suo fianco la fece quasi svenire e impallidendo dopo diversi minuti di assenza riuscì ad avvicinarsi, a toccarlo con le mani che le tremavano.
Il venditore le si piombò addosso come un falco:” E’ un busto di Apollo non ha testa ma è molto ben conservato un bellissimo marmo bianco di Carrara…”
Certo che non ha testa visto che non è un busto ma un torso, pensò infastidita da quell’importuno. Tutt’a un tratto lo doveva avere, era una necessità imprescindibile, doveva essere suo. Così cominciò a contrattare spuntando un prezzo ragionevole per quel pezzo di marmo di settanta cm di altezza per svariati chili che in un minuto era diventato lo scopo esatto della suo vita.
Nelle tre ore che seguirono la prese una frenesia tremenda. Chiamò amici per farsi portare a casa il “suo” torso che provocò problemi logistici non indifferenti, numerose risate e un pranzo di ringraziamento improvvisato quando finalmente riuscirono a portarglielo in casa e ad appoggiarlo sul tavolo di marmo della nonna.
I suoi amici le chiesero perplessi tra gli spaghetti e il vino che diavolo le avesse preso di comperarsi una cosa simile visto che non aveva neanche un giardino dove piazzarlo.
Il solo pensiero di lasciarlo alle intemperie la fece rabbrividire ma sinceramente non seppe lo spiegare: aveva avuto una fortissima sensazione di familiarità che aveva fatto scattare quell’incontrollabile desiderio di possesso di dover avere ad ogni costo quel pezzo di marmo anche, ammise tra lo sconcerto generale, che se quell’uomo insopportabile non glielo avesse venduto lo avrebbe rubato in qualche modo nottetempo.

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